Una legge e un programma per il sostegno al reddito

Una legge e un programma per il sostegno al reddito

Di Paolo Marelli

In Belgio è chiamato Minimax, è un diritto individuale, garantisce un reddito minimo di circa 650 euro a chi non dispone di risorse sufficienti per vivere. Ne può usufruire chiunque, anche chi ha
appena smesso di ricevere il sussidio di disoccupazione. In Lussemburgo, il Revenue minimum guaranti è definito legge universale, un riconoscimento individuale «fino al raggiungimento di una migliore condizione personale». L’importo è di 1.100 euro mensili. In Austria c’è la Sozialhilfe, un minimo garantito che è aggiunto al sostegno per il cibo, il riscaldamento, l’elettricità e l’affitto per la casa. In Norvegia c’è lo Stønad til livsopphold, letteralmente “reddito di esistenza”, erogato a titolo individuale senza condizione di età, con un importo mensile di oltre 500 euro e la copertura delle spese d’alloggio ed elettricità.
In Olanda si chiama Beinstand, è un diritto individuale e si accompagna al sostegno all’affitto, ai trasporti per gli studenti, all’accesso alla cultura.
Sono forme di intervento diversificate tanto che oggi possiamo parlare di quattro diversi modelli: quello centro europeo, che vede nazioni come Belgio e Olanda attuare queste forme già dagli anni ‘70; il modello anglosassone, che ha nella sua specificità le ristrettezze dettate dal Means test, che alcuni definiscono forma di controllo vero e proprio sugli individui percettori; quello scandinavo che prevede un ampio ventaglio di interventi sociali, tra i quali il sostegno al reddito è uno dei capisaldi. E, infine il modello mediterraneo, che vede l’Italia e la Grecia essere gli unici due Paesi in Europa a non avere alcuna forma di reddito minimo, ovvero una misura a sostegno delle persone e delle famiglie in povertà assoluta. Anche se, a dire la verità, l’Ue raccomanda all’Italia di introdurre questo “paracadute” sociale da almeno vent’anni.
Adesso, però, anche nel nostro Paese qualcosa comincia a muoversi. Tanto che le Acli, in collaborazione con la Caritas, hanno affidato a un gruppo di esperti, coordinato dal professor Cristiano Gori dell’Università Cattolica di Milano, il compito di costruire una proposta e frutto dell’approfondito lavoro è stato il progetto del reddito d’inclusione sociale (Reis).
Si tratta di una proposta che è figlia di un’“Alleanza contro la povertà in Italia”, un patto in cui associazioni, sindacati e organizzazioni uniscono le forze per fronteggiare l’emergenza che da anni colpisce il nostro Paese. Spiega il presidente nazionale delle Acli, Gianni Bottalico: «L’Italia soffre oggi l’assenza di adeguate politiche per contrastare la povertà. Stretto fra le mancate riforme del passato e l’aumento di domanda, dovuta ai processi di impoverimento in corso, il nostro welfare incontra crescenti difficoltà. Per questa ragione, come Acli, insieme a una serie di partner (Cgil, Cisl, Uil, il Forum Terzo Settore, Azione cattolica, Save the Chidren, Caritas Italiana, Lega delle Autonomie e Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome) abbiamo deciso di elaborare la proposta del Reddito d’inclusione sociale (Reis), da collocare in un piano nazionale contro la povertà. Si tratta di un’alleanza dentro la quale, nell’ambito di uno sforzo comune per raggiungere l’obiettivo del Reis, ogni realtà coinvolta potrà portare il proprio contributo di idee e di capacità di sensibilizzazione».
«Per raggiungere questo traguardo, abbiamo dato vita – prosegue Bottalico – a un gruppo di lavoro con il compito di definire alcune proposte rispetto al tema della povertà. Non vogliamo lavorare su singoli provvedimenti, ma la nostra ambizione è quella di presentare una proposta di legge». Il primo di questi punti, enunciati dal presidente delle Acli, è quello di «far partire dal 2014 un piano nazionale di durata pluriennale. Tutto ciò applicando il principio della gradualità.
Ci interesseremo da subito ai più deboli, a coloro che versano in condizioni economiche più critiche coprendo progressivamente chi sta “meno peggio”. Cominceremo con i servizi per restituire dignità ed eguaglianza ai nostri cittadini, assicurando continuità. Ciò riguarda, innanzitutto la sperimentazione di una nuova Social card».
«Non vogliamo guerre tra poveri – puntualizza Bottalico -, la legge di Stabilità vedrà altre misure per il welfare sociale in discussione, a partire dai fondi nazionali. I fondi per finanziare le misure contro la povertà assoluta non dovranno essere recuperati togliendoli ad altre fasce deboli. Lo Stato deve fare la sua parte. Anche se bisogna valorizzare la partecipazione sociale».

Su questa proposta di sostegno al reddito, la sociologa Chiara Saraceno invece sottolinea che «non solo è opportuno, ma è necessario dal punto di vista sia dell’equità sia della efficienza del nostro sistema di protezione sociale complessivo. Perché l’Italia è tra i pochissimi Paesi dell’Unione europea in cui manca una misura, nazionale e di tipo universalistico, di sostegno al reddito per chi si trova in povertà».
Per Saraceno, inoltre, l’assenza di una misura di sostegno al reddito per i poveri ha due conseguenze negative. La prima è che «molte persone e famiglie povere non riescono ad avere le risorse minime per una vita dignitosa e rischiano di rimanere invischiate in percorsi di progressiva perdita di opportunità e capacità. Il loro numero, tra l’altro, è molto aumentato a seguito della lunga crisi da cui non siamo ancora usciti, che ha coinvolto anche individui e famiglie che fino a
pochi anni fa si ritenevano al sicuro da povertà e deprivazione».
La seconda conseguenza negativa è che, «in mancanza di un sostegno di tipo universalistico per chi è in povertà, diviene difficile, se non impossibile, riformare gli ammortizzatori sociali esistenti per ridurne l’uso improprio – spiega la sociologa -. Perciò la cassa integrazione straordinaria può durare anni, anche se non c’è alcuna possibilità di un ritorno al lavoro. Si può abusare dell’indennità di invalidità civile e il limbo degli esodati può diventare un approdo ambito per chi si trova senza lavoro in età matura, visto che offre la speranza di un qualche provvedimento di tutela. E così via, nella rincorsa alle mille misure categoriali in cui si disperde quel poco di spesa sociale impiegato per contrastare la povertà nel nostro Paese. Una situazione che non garantisce diritti certi, mentre incentiva specularmente clientelismo e abuso. Senza essere efficace nel migliorare la situazione, contribuisce a minare la cultura civica nel nostro Paese».
Ecco perché Saraceno rimarca che la proposta di introdurre una misura nazionale di Sostegno all’inclusione attiva (Sia) ha l’ambizione, da un lato, «di mettere in campo uno strumento che stimoli e valorizzi la responsabilità di tutti – dei beneficiari come degli operatori sociali, su su fino ai diversi attori e ambiti territoriali.
Dall’altro, di utilizzare la messa a punto di questa misura come strumento per mettere mano ad una revisione complessiva del sistema di protezione sociale, in direzione di una maggiore equità
ed efficienza, oltre che di sostegno all’occupabilità»

(Vdossier numero 1 – anno 2014)